Alla ricerca dell'equilibrio tra il diritto, l'economia e le scelte di vita

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Servizio comunicazione istituzionale

8 Gennaio 2020

Tra i volti di donna che all’USI si contraddistinguono per un percorso di carriera atipico e per le competenze riconosciute nel proprio campo, troviamo Federica De Rossa, professoressa assistente senior di Diritto dell'economia e Direttrice dell'Istituto di diritto dell'USI, docente all'Università di Lucerna, avvocato e Giudice supplente del Tribunale federale di Losanna – ha seguito un approccio innovativo al diritto economico che considera i diritti umani come fondamentali non solo per la società in generale, ma anche per il sistema economico in quanto tale.

Il percorso professionale di Federica De Rossa è un po' insolito per un'accademica: dopo essersi laureata in diritto all'Università di Friburgo, dove ha iniziato la sua carriera accademica come assistente e ricercatrice, è passata alla pratica della professione presso uno studio giuridico. In seguito, dopo la nascita del primo figlio, ha ottenuto il brevetto di avvocato e il dottorato in giurisprudenza, sempre presso l’Università di Friborgo, con una tesi che le è valsa anche il premio Vigener nel 2010. Ha poi deciso di proseguire la sua carriera accademica come ricercatrice PostDoc presso l'USI, dove oggi è professoressa assistente senior (tenure track) in Diritto dell'economia presso la Facoltà di scienze economiche. Nel 2014 la Prof. De Rossa è stata eletta giudice supplente presso il Tribunale federale di Losanna (divisione Diritto pubblico).

 

Professoressa De Rossa, considererebbe le sue scelte di carriera come qualcosa da cui prendere esempio, anche in termini di equilibrio tra lavoro e vita privata?

Penso di sì, anche se la mia carriera accademica non può certo essere definita “esemplare” se si considerano le tappe che tipicamente un giovane ricercatore percorre dopo aver conseguito un dottorato fino all’ottenimento di una cattedra universitaria: il percorso che mi ha portato al punto in cui sono oggi è stato in effetti meno lineare, un po’ più tortuoso e più lento. Ma se dovessi tornare indietro lo ripercorrerei probabilmente in modo identico perché mi ha permesso, da un lato, di non rinunciare a scelte di vita personale per me fondamentali e, d’altro lato, di arricchire il mio bagaglio professionale con una serie di esperienze (in qualità di avvocato, membro di una Commissione federale, e infine Giudice federale supplente) che oggi portano solo dei benefici alla mia persona e alla mia attività accademica. Quindi sì, credo proprio che le mie scelte di carriera un po’ atipiche servano anche per poter dire alle giovani ragazze con delle ambizioni professionali che oggi per una donna, e a maggior ragione per una mamma, la carriera, in particolare quella accademica, è ancora molto dura, ma che possiamo farcela personalizzando il nostro percorso, operando delle deviazioni e ritagliandoci il tempo supplementare necessario per conciliare tutto. L’importante è avere l’obiettivo sempre chiaro davanti a sé e perseguirlo con tenacia credendo nelle nostre capacità anche nei momenti meno facili.

 

All'USI Lei è anche membro della Delegazione per le pari opportunità. Questo è un tema di interesse accademico per lei?

La Delegazione svolge a mio avviso un ruolo fondamentale nel dare un impulso al cambiamento di cultura necessario per aumentare effettivamente le posizioni professorali femminili, ancora manifestamente insufficienti. In particolare, in ogni commissione di selezione per un nuovo professore, come delegati abbiamo il compito di far emergere eventuali stereotipi di genere inconsci che possono interferire con i criteri di selezione stabiliti per l'assunzione e con i presunti meriti dei candidati, e che sono in contrasto con i principi meritocratici ed egualitari promossi dall'USI. In questo contesto occorre fare attenzione a non cadere nel tranello di valutare le candidature in maniera troppo standardizzata, poiché alcuni dei criteri considerati imprescindibili sono in realtà costruiti su criteri di successo tipicamente maschili e a volte escludono candidature femminili molto valide senza un esame approfondito dei risultati ottenuti dalla candidata. Sono convinta che questo approccio, che tenga conto delle specificità e delle diversità dei profili femminili, sia necessario non solo in ambito accademico, ma anche ad esempio nell’economia. In tutti questi anni l’economia non è però riuscita da sola a garantire uno spazio adeguato alle donne nelle posizioni apicali. Del resto, a cambiare le narrative non saranno mai gli uomini e in realtà più si sale nella gerarchia del potere, più le discriminazioni diventano sottili, quasi impercettibili. Questo è recentemente diventato anche un tema della mia ricerca accademica. La necessità di assicurare un rispetto effettivo del principio fondamentale di uguaglianza (anche) nell’economia esige un intervento del legislatore volto ad introdurre quote di genere volte a migliorare la posizione delle donne in ruoli dirigenziali di alto livello. Il legislatore è ancora troppo timido. Nonostante io sia sempre stata piuttosto restia alla loro introduzione, oggi credo che le quote siano l’unico modo per sfruttare le potenzialità delle donne anche nei compiti dirigenziali e permettere loro di cambiare, dall’interno, modalità, strategie, sensibilità e visioni della società. Le donne sapranno poi, con i loro meriti, dimostrare di essersi guadagnate le posizioni che occupano.

 

Dalla fine degli anni Settanta, gli effetti della deregolamentazione e delle politiche economiche del laissez-faire nel mondo industrializzato hanno portato all'attuale sistema economico globalizzato, che ha creato molto ma che anche generato una serie di importanti effetti collaterali, in particolare in termini di divario sociale. I legislatori di tutto il mondo sono stati chiamati a portare dei correttivi, ma in genere il mondo economico non apprezza la maggiore regolamentazione, che è generalmente visto come una minaccia al principio della libertà economica. Allo stesso tempo, i dirigenti delle imprese dei Paesi sviluppati stanno riorientando le loro priorità dal mero valore azionario a modelli imprenditoriali più sostenibili, che includono anche una maggiore attenzione al genere e alla diversità.  Come possiamo far cambiare la percezione secondo cui la libertà economica e la necessità di rispettare lo Stato di diritto siano in contrasto?

Ai miei studenti, in prevalenza studenti di economia, insegno che il diritto non deve essere vissuto come una costrizione per la nostra economia di mercato, bensì come lo strumento che la rende possibile. La nostra Costituzione ruota attorno alla libertà economica, un diritto fondamentale che assicura a ogni individuo la libera scelta della professione e il suo libero esercizio, in un contesto di sempre maggiore apertura internazionale (libertà degli scambi, libera circolazione delle persone). Ma la Costituzione è imperniata anche da altre garanzie e valori fondamentali, tesi ad assicurare uno sviluppo economico socialmente sostenibile e attento alle generazioni future. La concorrenza non ha valore preminente su di essi, ma tutti devono formare un insieme omogeneo. Così, mostro loro l’economia di mercato come un’arena nella quale tutti gli attori economici possono rivendicare un alto grado di autonomia (libertà economica, libertà di impostare liberamente le proprie relazioni commerciali contrattuali, libertà di scambi a livello internazionale) ma hanno nel contempo sempre più responsabilità, anche di natura etica, verso la società. Laddove essi non si assumano volontariamente tali responsabilità, il legislatore interviene per incentivarne il rispetto attraverso espedienti indiretti, quando non per imporle loro direttamente. È il caso ad esempio dell’introduzione delle quote rosa negli organi delle società quotate che è attualmente al vaglio del Parlamento federale. Oppure delle misure introdotte a seguito dell’accettazione popolare dell’iniziativa Minder “contro le retribuzioni abusive” che hanno conferito agli azionisti il potere di contrastare politiche di remunerazione scorrette o sproporzionate rispetto ai risultati dell’azienda e che hanno vietato forme importanti di retribuzioni quali le copiose buone uscite (i cosiddetti golden parachutes) che i manager si assicuravano per il termine della loro funzione.

 

[Il testo integrale di questa intervista, pubblicato in lingua inglese sulla rivista Ticino Welcome (n°64), è disponibile in allegato.]